16/01/2025 VENEZIA – «Ammettoi miei errori, ma sulla vicenda Pili e Papadopoli io non sono mai intervenuto». Sono alcune delle dichiarazioni dell’ex assessore Boraso, nell’ambito dell’inchiesta Palude, fatte nel primo interrogatorio davanti ai Pm. || «Prendo atto che il mio errore era quello di utilizzare la mia figura di assessore per influenzare i tecnici senza indurli a prendere posizioni contrarie alla legge, ma per seguire pratiche che mi stavano a cuore. Ciò dico perché è evidente che chi svolge il mio ruolo non può interferire su atti amministrativi». Questa è una parte della dichiarazione dell’ex assessore comunale Renato Boraso con cui inizia il verbale del primo interrogatorio, davanti ai pm, lo scorso 15 settembre quando ha lasciato il carcere per la prima volta, dopo l’arresto del 16 luglio. Oggi è agli arresti domiciliari in attesa del processo. Accusato di 13 casi di corruzione per oltre 750 mila euro di tangenti, l’ex assessore, difeso dall’avvocato Umberto Pauro, ammette dunque di aver ricevuto soldi e fatto pressioni, aggiungendo che è stato un «errore», legato però alla sua attività, senza confermare le corruzioni.Riguardo al “caso Pili” e la vendita di Palazzo Papadopoli, Boraso si è dichiarato del tutto estraneo. «In mia presenza, ha dichiarato ai pm, era stato l’allora sindaco Cacciari a suggerire Brugnaro di fare un’offerta per i Pili: come consulente immobiliare devo dire che non avrei mai comperato quel terreno». La Procura invece gli contesta una tangente da 73 mila euro per agevolare la vendita di palazzo Papadopoli al magnate, soldi ricevuti da una società intestata al figlio di Claudio Vanin, che inizialmente si è speso per la trattativa, poi, saltato l’affare, ha denunciato tutto. Ma Boraso insiste: «era una consulenza immobiliare, non una tangente» (Servizio di Ilaria Marchiori)
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